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er celebrare le nostre nozze, abbiamo scelto la Certosa di Garegnano. Grande pezzo di storia di Milano, situata a pochi passi da casa nostra, la certosa di Milano è a nostro parere una delle più belle chiese della nostra città, e teniamo molto al fatto di celebrare qui le nostre nozze.

COS'È UNA CERTOSA

a prima grande Certosa sorge nella zona della Chartreuse, nei monti boscosi dell'Alto Delfinato, dove venne fondato nel secolo XI, per opera di San Bruno, l'Ordine dei Certosini.
Le regole poste da San Bruno erano quanto mai austere: il cibo quotidiano quasi sempre costituito da pane ed acqua, mai carne, frequenti le flagellazioni e l'uso del cilicio, la veste era un saio di lana bianca; alla morte i frati dovevano essere sepolti senza cassa nel cimitero compreso nella cinta della Certosa stessa affinché potessero tornare alla Madre Terra.
Ogni casa aveva un priore, dodici monaci con diciotto conversi e qualche servitore. Se la povertà dei singoli era totale - ad ognuno di loro non toccava che un piccolo terreno davanti alla propria cella - la corporazione poteva disporre di un buon patrimonio, grazie ai numerosi lasciti e alle donazioni. L'Ordine Certosino si propagò rapidamente in Europa tanto che in appena un secolo si videro nascere numerosissime Certose, di cui quattro in Italia.

STORIA DELLA CERTOSA

a Certosa di Milano sorgeva anticamente al centro del borgo di Garegnano, quasi quattro chilometri oltre le mura cittadine. Fondata il 19 settembre del 1349 da Giovanni Visconti, il quale ricopriva la carica di Signore ed Arcivescovo di Milano, era stata costruita lontano dalla città per consentire ai monaci di poter vivere in silenzio e solitudine. Visconti, resosi conto di non avere molto tempo da dedicare alla preghiera voleva chiamare presso la sua diocesi un ordine religioso dedito esclusivamente alla preghiera ed alla meditazione. Nell'atto di fondazione della Certosa, dunque, egli dichiarò espressamente che fondava la Certosa di Milano affinché i monaci pregassero al suo posto:
"Coloro che si dedicano al servigio del Dio della virtù, essendo sovraccarichi di altri doveri pubblici, accade loro spesse volte, di essere allontanati, per diversi molteplici ragioni, dalla meditazione, dalla contemplazione da altri esercizi spirituali, a cui dovrebbero attendere continuamente [...] perciò, abbiamo voluto coi beni nostri fraterni e non coi beni di qualche Chiesa, o possedimenti da dignità ecclesiastiche, far erigere in onore della B. V. Maria Madre di Dio e di N. S. G. C. nel villaggio di Garegnano della diocesi di Milano, una casa dell'Ordine dei Certosini, la quale verrà chiamata: Monastero di Santa Maria o Casa dell'Agnus Dei".
La Certosa, situata non molto distante dalla strada postale che congiungeva Milano a Varese e Gallarate era inserita nel Bosco della Merlata, una zona battuta da briganti e malintenzionati. Costituì quindi per molti anni un rifugio sicuro per pellegrini e viandanti.
I lavori per erigere la nuova Certosa lombarda procedettero rapidamente tanto che nel 1352 i suoi ambienti principali dovevano essere già terminati. Per assistere alla prima consacrazione della grande chiesa monastica tuttavia si dovette attendere fino al 1367.
Purtroppo non esistono delle descrizioni dettagliate della struttura della Certosa, ed a tutt'oggi mancano delle testimonianze particolareggiate che precisino le singole parti che la costituivano nel primo periodo della sua edificazione Tra i primi priori della certosa milanese è da annoverare Don Stefano Maconi, il quale venne chiamato nel 1389 da Giovanni Galeazzo Visconti. Padre spirituale dei Visconti, convinse Caterina a far voto di fondare una nuova Certosa. Fu dunque quella l'origine della Certosa di Pavia fondata nel 1398 ed alla quale fu chiamato come primo priore proprio Dom Stefano Maconi Intorno al 1403 si ebbe un nuovo impulso edilizio, quando Luchino Visconti fece una cospicua donazione affinché i monaci seguaci di San Bruno rimettessero mano alla fabbrica del monastero. La donazione luchiniana portò presto frutto, poiché nel terzo decennio del XV secolo si susseguirono numerose consacrazioni di altari. I visitatori della Certosa di Milano intanto, incuriositi ed attratti dalla santità dei monaci, chiedevano spesso di incontrarli. A creare questa aurea di splendore di santità attorno alla comunità monastica contribuì sicuramente anche il Petrarca il quale visitò diverse volte questo monastero e, dopo aver visto anche la Grande Chartreuse, affermò: "Son dunque stato in Paradiso: ho visto gli Angeli di Dio in terra; ho visto viventi in corpi Terrestri, coloro che presso il Cielo sarà loro dimora". La tradizione narra che il Petrarca si recasse in Certosa ogni settimana e che nel monastero avesse libero accesso. Nella realtà le sue visite dovettero essere assai meno frequenti anche se si è certi che egli definì la Certosa di Milano "bella e nobile".
La pace e la serenità monastica furono tuttavia turbate il 23 aprile del 1449 quando numerosi briganti entrarono nel monastero saccheggiandolo e si impadronirono di numerosi beni.
A capo della banda più sanguinaria e conosciuta c'era un certo Giacomo Legorino, che per molti decenni "lavorò" quasi indisturbato nei boschi che si estendevano da Garegnano a Novara. Si trattava di una banda di "nobile" tradizione familiare, la cui arte del furto, dell'imboscata e dell'assassinio veniva tramandata da padre in figlio, che contava più di ottanta "compagni" e che nel XVI secolo terrorizzò il circondario di Milano. Questa pericolosa compagine fu sgominata tra il 1566 ed il 1568 quando i suoi componenti furono tutti arrestati ed uccisi. Giacomo Legorino fu catturato all'età di trent'anni grazie alla denuncia di un mercante al quale il bandito aveva salvato la vita e fu giustiziato poco distante dal monastero certosino il 28 maggio 1566 insieme a Battista Scorli, un suo compagno che confessò di aver ucciso più di 300 persone.
Il territorio di Garegnano, quindi, - anche in virtù della sua particolare posizione - non conobbe solamente la santità dei monaci certosini, ma anche le atroci vicende di questi briganti che furono trascinati con i cavalli per oltre due ore, gli vennero rotte "le gambe, le braccia, e la schiena", furono messi sulla ruota e gli fu tagliata la gola.

el XVI secolo un nuovo fervore edilizio interessò il monastero e nell'agosto del 1508 Monsignor Matteo Vescovo di Elenopoli consacrò nuovamente l'altare dedicato a San Michele e di Tutti i Beati Spiriti, mentre l'anno successivo consacrò l'altare dedicato a San Giovanni Battista e Sant'Antonio Abate. Queste celebrazioni non sono certamente secondarie nella storia del monastero, poiché testimoniano un'attenzione particolare all'edificio ecclesiastico, oltreché un nuovo impulso architettonico. Ai primi decenni di questo secolo, infatti, risalgono i lavori di trasformazione dell'interno della chiesa, tra i quali sono da annoverare le vicissitudini della cappella di San Giovanni Battista, menzionata in un testamento del 1407 ed eretta prima del 1469.

l 6 febbraio del 1562, venne consacrata per la seconda volta la chiesa monastica, unitamente a tutte le cappelle, alla sala capitolare ed al cimitero dei monaci.
La volontà di rendere sempre più splendente il monastero certosino proseguì con la stipulazione del contratto tra il priore Agostino della Torre ed i "Maestri" Battista e Sante Corbetta. Così, mentre i due maestri continuavano il loro lavoro nell'adornare l'interno della chiesa, nel 1574 furono iniziati i lavori di ampliamento del grande chiostro. L'antico monastero certosino originariamente possedeva, infatti, un chiostro edificato solo su tre lati, di cui due erano occupati dalla celle, mentre sul terzo trovavano la loro collocazione parte degli edifici monastici e l'abside della chiesa. I monaci, dunque, decisero di edificare quattro nuove celle con dimensioni leggermente maggiori. In quell'occasione il capitolo decretò anche la ristrutturazione completa dell'intera struttura colonnata. Al termine dei lavori la Certosa di Milano dovette possedere uno dei più bei chiostri lombardi, caratterizzato da un perimetro interno di poco inferiore ai cinquecento metri e da decorazioni in pietra ed in cotto. Ad impreziosire maggiormente la struttura architettonica vi era il lato meridionale del Grande Chiostroche fu edificato con colonne in marmo di Carrara.
Tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo i certosini decisero di rinnovare integralmente l'aspetto della loro casa ed il 27 luglio del 1579 il priore stipulò con il Maestro Angelo di Lonate un contratto per la costruzione di una "tomba nuova" da situarsi "da mano destra intrando la porta d'esso monastero"; una cucina, con tutti le stanze a lei pertinenti; una grande sala; e "quattro o quelli che riusciranno camerini in terra con altri suoi superiori alli sudetti". Questo documento appare asai importante poiché nel suo testo compare il lemma "fabbrica" per ben quattordici volte, termine che utilizzato assai raramente in tutta la documentazione relativa al monastero della Certosa. La "fabbrica" di cui parla questo documento si riferiva certamente anche alla riedificazione della facciata della chiesa ed ai numerosi lavori che furono eseguiti nel Cortile delle Elemosina, nel Cortile d'Onore ed all'interno della chiesa.
L'attenzione dei monaci fu rivolta anche all'edificio ecclesiastico, la cui struttura principale fu edificata ispirandosi ad una Tau capovolta. Oltre alle opere lignee eseguite nel coro monastico e sugli stalli dei monaci conversi, i certosini destinarono ingenti somme di denaro alla realizzazione degli affreschi absidali. Il 31 ottobre del 1578, infatti, essi stipularono con Simone Peterzano il contratto per affrescare le pareti attorno all'altare con scene raffiguranti la vita di Gesù. Il pittore bergamasco, allievo del Tiziano e maestro del Caravaggio, fu incaricato di "depingere et adorar respettivamente tutta la capella grande de la chiesa de detto monasterio di dentro et dinanzi per quanto importa tutto di fuori de li pilastri grandi de l'archone et l'istesso archone et rimanente d'essa capella fin sotto alla sommità d'essa".
Oltre a queste opere ad affresco i monaci commissionarono a Simone Peterzano anche le tre grosse tele attualmente collocate dietro l'altare, raffiguranti la "Madonna in più con il Figliolo in braccio con qualche angioletti, Sancto Giovanni Battista et Sancto Bruno da la destra, Sancto Ambrosio et Sancto Hugho", la "Resurettione di Nostro Signore con almeno duoi angioli di statura naturale occupati d'intorno alla rimotione de la piastra del sepolcro", e l'Ascensione "del Nostro Signore al cielo sul monte con la Madonna in terra et li Apostoli et moltitudine di Discepoli et Discepole et Angioletti acompagnanti et cingenti Nostro Signore". Le prescrizioni dettate dai monaci a Simone Peterzano non si limitarono ai soggetti iconografici ma riguardavano anche alcuni aspetti religiosi e teologici connessi con la stessa opera pittorica.

lavori all'interno della chiesa non cessarono nemmeno dopo il termine di questo lavoro, e sono testimoniati dai riti liturgici legati alle consacrazioni. Tra il 26 marzo del 1597 ed il 18 marzo del 1617 furono infatti consacrati tre altari e 5 cappelle, tra le quali vanno ricordate le due cappelle ai lati dell'entrata, adiacenti quindi alla facciata della chiesa. La datazione del rifacimento di queste due cappelle appare di notevole importanza poiché costituisce l'anno oltre al quale è poco probabile che si sia terminata la facciata della chiesa.
La volontà di abbellire le decorazioni della chiesa non cessarono nemmeno con i rifacimenti dei cortili prospicienti alla facciata o con gli affreschi del Peterzano ed il 1629 segna la data conclusiva del ciclo pittorico eseguito da Daniele Crespi nelle pareti e nella volta della navata, raffiguranti la storia dell'ordine fondato da San Bruno e numerosi santi e martiri certosini.
Nella seconda metà del XVII secolo si pose mano alla pavimentazione interna della chiesa per la realizzazone della quale venne chiamato Tommaso Orsolino. Egli realizzò con intarsi marmorei il "pavimento del Sancta Sanctorum della Chiesa, per i scali in terra dell'altare maggiore e per il pavimento del coro dei monaci", utilizzando anche lastre di marmo di Candoglia, la cava ad uso esclusivo del Duomo di Milano.
Nella seconda metà del XVIII secolo venne inoltre affidato al canonico Biagio Belotti il compito di eseguire le decorazioni ad affresco della cappella dell'Annunciazione e del Santo Rosario. In quegli anni nulla faceva presagire ai monaci certosini il timore di essere cacciati dal loro monastero che abitavano da quasi 450 anni.

l 16 ottobre del 1782 la Certosa di Milano fu formalmente soppressa e per il monastero ebbe inizio di una lunga decadenza architettonica e spirituale. Tutti i beni monastici vennero razziati ed i monaci certosini vennero cacciati con brutalità dalle loro abitazioni. Le celle del grande chiostro vennero trasformate in deposito della polvere da sparo del Castello Sforzesco e parte della prioria saltò in aria per un'errata lavorazione delle polveri.
Il monastero fu smembrato in tre parti e solo la chiesa e la casa parrocchiale furono cedute all'autorità ecclesiastica affinché le trasformassero nella nuova sede della parrocchia. Incominciò, quindi, un periodo di grande decadenza e di distruzione, al quale contribuì anche l'atteggiamento vandalico delle truppe austriache e napoleoniche. Tutte le celle dei monaci, poco idonee ad essere utilizzate come deposito della "polvere nera", subirono delle radicali ristrutturazioni e rifacimenti che comportarono una notevole spesa. Per la progettazione e la direzione dei lavori fu chiamato il Conte ed ingegner Franci, il quale utilizzò manodopera esperta e qualificata. Gli stessi materiali dovevano corrispondere a particolari caratteristiche tecniche e ciò comportò un aumento della spesa prevista. Fu allora che al Conte Franci venne in mente di distruggere cinque celle dei monaci per ricavarne dei materiali da rivendere al miglior offerente. Fu scelto per questo scopo, il lato settentrionale del grande chiostro che, a causa dell'umidità, non era assolutamente idoneo ad essere trasformato in deposito di polvere da sparo.

ià nel 1784 fu quindi sancita la demolizione delle piccole casette dei monaci che fruttarono al Governo austriaco una cifra cospicua . Mentre l'intero complesso monastico fu occupato dall'esercito militare e parte degli edifici vennero venduti a privati, la chiesa venne affidata al clero secolare, divenendo edificio parrocchiale la notte di Natale del 1783.
Il XIX secolo non fu caratterizzato da particolari avvenimenti, anche se è da ricordare la lotta dei parroci che cercarono di conservare nel miglior modo possibile l'antica struttura monastica a loro affidata. Durante il secolo successivo la Certosa di Milano fu oggetto di alterne vicende caratterizzate dai grandi restauri degli anni '30 ed i danni di guerra subiti durante i bombardamenti del 1943. Nel dopoguerra il borgo contadino nel quale era anticamente inserita la Certosa subì un radicale mutamento sociale ed urbanistico, trasformandosi in una zona di aggregazione per piccole industrie periferiche. In questa rinnovata situazione si inserirono nel 1960 i Frati Minori Cappuccini che da allora si sono fatti carico della cura pastorale dei parrocchiani e della valorizzazione e sistemazione artistica di questo importantissimo monumento nazionale.
Oggi, grazie al finanziamento giubilare, la Certosa di Milano è tornata al suo antico splendore e potrà guardare ai secoli futuri con rinnovato fulgore. Il ricordo dell'originaria struttura monastica certosina che sembrava richiamare la visione poetica di Piero Bianconi che parla delle chiese soppresse come di "impalpabili fantasmi", oggi lascia il posto ad un rinnovato fulgore artistico che "parla" della vita certosina attraverso le sue pietre ed i suoi affreschi.

I RESTAURI

a Certosa di Milano è stato oggetto di uno dei maggiori interventi di restauro connessi al Giubileo del 2000. Grazie al febbrile lavoro della comunità dei frati cappuccini, della Commissione Artistica ed economica parrocchiale ed all'intraprendenza di alcuni dei suoi aderenti, l'antica struttura architettonica è potuta tornare al suo originario splendore. Numerosi sono stati i restauri che si sono susseguiti nei secoli, ma questo rappresenta senza ombra di dubbio il più completo intervento multidisciplinare da quando i monaci certosini furono costretti ad abbandonare la certosa a causa della soppressione austriaca del 1782.
Il compito di redigere il progetto di restauro è stato affidato dal parroco padre Ferruccio Consonni al gruppo di progettazione composto dall'architetto Domenico Tripodi (responsabile del progetto) e dall'architetto Paolo Terribili. Prima di redigere il piano complessivo dell'intervento essi si sono avvalsi della competenza di numerosi collaboratori, tra i quali è da annoverare la presenza della professoressa Maria Antonietta Crippa (Consulente generale storico-artistica), di Carlo Capponi (Consulente per i restauri), di Ildefonso Sgarella (Coordinatore generale), di Giorgio Maria Vismara (Strutturista), di Diego Meroni (consulente per la gestione degli appalti) e Ferdinando Zanzottera (Consulente per le indagini storico-critiche). Per la prima volta nel monastero milanese ha collaborato anche la Sezione Geofisica del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Milano che, grazie alla competenza del Professor Ignazio Tabacco e le indagini di Samir El-Behairy, hanno introdotto metodologie sonar innovative per un complesso monastico trecentesco. Oltre alla collaborazione dell'università milanese si è avuta anche la consulenza del Professor Giovanni Liotta, ordinario di Entomologia dell'Università di Palermo, che si è occupato sapientemente delle strutture lignee del XVI e XVIII secolo.
Accanto a questi interventi si sono eseguiti anche attente ricerche preliminari affidate a Lorenzo Rossi e Donatella Ferrieri, i quali hanno utilizzato una termocamera che rivela l'emissione di calore delle murature.
Per otto-nove mesi tutta la Certosa è stata trasformata in un unico cantiere con maestranze specifiche che si sono scambiate conoscenze diagnostiche e hanno collaborato in sinergia per poter riuscire a terminare i lavori entro i termini previsti. La parte più significativa e più onerosa ha riguardato il restauro degli affreschi e del ciclo degli stucchi in oro zecchino, al quale hanno fatto seguito gli interventi su alcune tele e sugli intarsi lignei della sala del tesoro e della sala capitolare. Gli affreschi eseguiti dai numerosi artisti chiamati dai monaci certosini per decorare il loro monastero presentavano numerosi danni causati dalle infiltrazioni d'acqua piovana e dall'umidità che risaliva dal terreno. A queste problematiche gli studi preliminari hanno rilevato la presenza di fenomeni di dissesto statico che avevano causato piccoli cedimenti delle strutture murarie. Molto più grave era la situazione che, con il passare dei decenni, si era venuta a creare nei pressi dell'antica zona rustica del monastero, che era completamente fatiscente e presentava seri segni di dissesti statici.
Complessa era anche la situazione degli stucchi realizzati tra il XVI ed il XVII secolo, il cui stato di conservazione è stato giudicato "pessimo" dagli esperti. Il progetto di restauro della chiesa si è occupato anche della conservazione degli arredi lignei certosini, ed in particolar modo si è intervenuti nella Sala Capitolare, nella Sala del Tesoro e nella Bussola di ingresso della chiesa.
Accanto a questi restauri artistici, l'intervento giubilare ha realizzato 100 posti letto per l'ospitalità dei pellegrini ed è stato realizzato un auditorium polifunzionale capace di ospitare circa 150 persone.
L'intero complesso delle opere che si sono eseguite in questa prima certosa lombarda hanno dunque coniugato la salvaguardia del patrimonio artistico del passato con la valorizzazione del presente, aprendosi al futuro ed alle sfide imposte dal nuovo millennio.
La corretta esecuzione dei lavori e la scientificità del restauro sono stati seguiti anche dall'architetto Ponticelli, della soprintendenza ai beni ambientali e architettonici, dalla dottoressa Bandera, della soprintendenza ai beni mobili, e dall'Ing. Giorgio Piantato, coordinatore della sicurezza.

ORDINE DEI CERTOSINI

e caratteristiche di una Certosa sono la solitudine e silenzio: "il nostro principale studio e dovere - si legge nelle antiche Consuetudini - è la custodia del silenzio e l 'impegno alla solitudine della cella". Chi vive in Certosa quindi non ha altra attività che quella di disporsi incessantemente ad attuare un'intima unione con Dio. La vita di un frate Certosino è in sostanza una mirabile fusione di vita eremitica e cenobitica.

Vita certosina

ella solitudine infatti, il Certosino passa la maggior parte del suo tempo intento all'orazione mentale, alla recita dell'Ufficio canonico unitamente a quello della Madonna, alla lettura spirituale e allo studio. Per due o più ore al giorno comunque i certosini si dedicano al lavoro manuale, il cui scopo è di assicurare al monaco il riposo mentale e l'esercizio fisico necessari per conservare la salute e poter attendere meglio al fine proprio della sua vocazione. Un lavoro manuale che consiste per lo più nella pulizia della cella, nella coltivazione dell'orticello, in piccoli lavori di falegnameria e di tornitura e nel segare e spaccare la legna da ardere. L'isolamento, in ogni caso, non è totale: una parte di vita in comune o cenobitica viene ad attenuare e ad arricchire il rigore della loro solitudine. La vita cenobitica raggiunge la sua più alta e più pura espressione negli Uffici conventuali. La preghiera e il canto liturgico, infatti, attuano in modo visibile e ufficiale la fusione della vita d'azione di ciascun monaco con quella dei suoi confratelli. Le parti dell'Ufficio, non cantate in coro, sono recitate in cella nei tempi indicati dal suono della campana, e sempre col medesimo cerimoniale che si osserva in chiesa. L'Ufficio divino esprime così anche in cella il suo carattere di preghiera ufficiale e comunitaria.
Oltre alla liturgia, la domenica e in certi giorni festivi ci sono alcuni momenti di ricreazione in comune, e una passeggiata settimanale di circa quattro ore fuori del monastero. I monaci vi s'intrattengono familiarmente e vi trovano un efficace sollievo fisico, come anche un'ottima occasione di edificazione e di sprone reciproco.
La vita del Certosino comprende necessariamente l'ascesi, un'ascesi particolare: imposta dalla Regola e sapientemente studiata in vista del fine da conseguire e del genere di vita proprio dell'Ordine.
Per quanto riguarda le regole di vita mai, neppure in caso d'infermità, il Certosino si nutre di carne. Al mattino non prende nulla e, durante i due terzi dell'anno, alla sera si accontenta d'una cena molto frugale: pane e un pò di vino annacquato. Durante l'Avvento e la Quaresima gli sono vietati il latte, il formaggio e il burro. Un giorno la settimana, generalmente il venerdì, se la salute glielo consente fa astinenza a pane e acqua.
Nel cuore della notte il Certosino s'alza per cantare le lodi del Signore. La veglia dura circa tre ore, una parte della quale trascorsa in cella e una parte, ancora più lunga, in chiesa.
Nondimeno il tempo di sonno necessario è largamente assicurato, poiché la sera si va a letto abbastanza presto, verso le ore 19, e l'alzata al mattino non avviene troppo di buon'ora. Il certosino riposa su di un letto formato da un pagliericcio, con coperte e lenzuola di lana.

Formazione

Le tappe della formazione certosina sono il Postulato, il Noviziato, la Professione temporanea e quella solenne. Il Postulato dura tre mesi e può essere prolungato fino a sei. Durante questo tempo il Postulante veste gli indumenti che ha portato con sé; vive in una cella, e pratica gli esercizi della Comunità, sotto la direzione del Maestro dei novizi. Dopo questa prova, se il voto della Comunità è favorevole, è ammesso al Noviziato.
Il Noviziato è di due anni. Durante questo periodo il novizio vive sotto la stessa regola dei religiosi professi e indossa l'abito certosino, che si compone di una tonaca di lana bianca con cintura, di una cocolla della medesima stoffa che scende fino ai ginocchi e di una cappa nera, che egli mette solo per gli atti conventuali.
Al termine del Noviziato, se i suffragi della Comunità gli sono favorevoli, il novizio pronunzia all'altare i voti semplici temporanei. Questa prima Professione è emessa per tre anni, nei quali il giovane professo rimane ancora sotto la direzione del Maestro dei novizi. Allo scadere del triennio è presentato nuovamente alla Comunità la quale delibera sulla sua ammissione a trascorrere due anni con i professi di voti solenni, sotto l'immediata direzione del P. Priore. Nel caso che anche quest'ultima prova sia positiva, è finalmente ammesso alla Professione solenne, che lo incorpora definitivamente nell'Ordine certosino.

L'ambiente

Le celle in cui vivono i monaci sono allineate attorno ad un Chiostro, nel mezzo del quale vi sono il giardino e il cimitero. La cella è un vero romitaggio: una "casetta" di più vani con attiguo giardinetto. In ogni "casetta" si trovano un corridoio con lo sportello in cui il Fratello dispensiere depone ogni giorno le vivande; una prima stanza che serve da studio, detta "Ave Maria", perché ogni qualvolta il monaco entra nella cella recita in ginocchio un'Ave; la cella propriamente detta, chiamata "cubicolo", che serve sia da oratorio - per la recita degli Uffici divini e per l'orazione privata - sia da refettorio e camera da letto, la legnaia e il laboratorio con banco da falegname e sovente un tornio.

Organizzazione

Il capo della comunità è il priore che viene eletto dall'assemblea dei monaci.
Il priore è così chiamato perché considerato "primus inter pares" e non "dominus" dai confratelli, ed inoltre non può apportare modifiche alle regole e alle consuetudini dell'ordine senza il consenso del capitolo generale certosino che si riunisce ogni anno.
Il priore ha sia la direzione spirituale che economica della comunità anche se per le questioni pratiche la cura è demandata al procuratore. Con il passare dei decenni fu creata la carica di vicario per le occasioni in cui il priore deve allontanarsi dalla Certosa. I monaci vivono in preghiera e contemplazione nelle celle secondo le rigide regole dell'ordine, svolgendo una serie di lavori manuali quali la miniatura, la copiatura di antichi testi e il commento delle Sacre Scritture. Alla pastorizia ed all'agricoltura si dedicano invece i fratelli conversi o il personale non appartenente all'ordine, laici non elevati al sacerdozio, sono tenuti alla professione solenne dei voti dopo un periodo di noviziato.

 

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